| Scienze dell uomo |

pagine : 84
dimensioni : 14,5x21
prezzo : € 7,00
ISBN : 9788871862026
Anno di pubblicazione : 2002



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Aa. Vv.
L'Ungheria e la cultura mitteleuropea
a cura di Anna Sikos  
 



Il convegno di cui qui si pubblicano gli atti è stato dedicato alla memoria di Gianpiero Cavaglià, professore associato di lingua e let­teratura ungherese a Torino e, come ha scritto Cesare Cases in un ri­cordo di lui pubblicato su «L’indice», uno dei più brillanti e pro­mettenti comparatisti italiani. Gianpiero Cavaglià coltivava la lette­ratura comparata sia nel suo senso più tradizionalmente italiano -con puntuali confronti tra autori, movimenti letterari, storia civile -sia nel suo più popolare senso anglosassone, come una riflessione estetico-filosofica sull’esistenza umana quale si conosce e si rappre­senta nella letteratura e nella poesia. E su tale terreno, oltre che su quello di un legame privato strettissimo, durato quasi venticinque anni e interrotto solo dalla sua morte, che gli sono stato vicino e ho imparato da lui cose decisive per il mio personale lavoro filosofico. Difficile riassumerle e valutarne l’importanza: ricorderò solo il suo modo di leggere, anche contro una certa vulgata dominante, le ope­re di Hofmannsthal, di cui assumeva come filo conduttore la pagina sull’effetto Potëmkin. Un vero piccolo tesoro di idee e di visione della vita, la tesi hofmannsthaliana; che cioè i contrasti, i conflitti, l’irrazionale, sosteneva lo scrittore austriaco, non si dovrebbero sca­vare, drammatizzare, cercare di risolvere definitivamente (sempre l’ultima guerra per eliminare tutte le guerre!) – ciò che tanto pensie­ro e azione, anche politica, avevano preteso di fare, spesso sangui­nosamente, nel nostro secolo – bensì celare dietro facciate dipinte che ne allevino la gravita, anche con un atteggiamento di distacco ironico. Gianpiero Cavaglià, che pure ha vissuto personalmente la tragedia di una lunga malattia ancora senza cura, e lo sapeva, era tutt’altro che un pensatore tragico. Mi ha sempre ricordato, in ciò, una pagina di Ernst Bloch (nella prima edizione del Geist der Uto­pie, se non sbaglio), dove Bloch dice che Gesù non somiglia a un eroe tragico, ma piuttosto a un clown, comunque a un umorista; co­me quell’uomo moderato di cui parla Nietzsche quando cerca di definire il suo Übermensch, che ha la forza di esercitare anche verso se stesso e l’uomo in generale un certo ironico, ma amichevole, di­stacco che non si abbassa mai a divenire disprezzo o rassegnazione. Poiché su tutte queste eredità teoriche di Gianpiero sto ancora meditando, e anzi ne vivo, oltre che coltivarne un fortissimo ricordo af­fettivo, non posso “celebrarlo” con un testo che si pretenda in qual­che senso “definitivo”. Mi rallegro però con l’iniziativa degli amici, che, riprendendo talvolta tematiche letterarie e filosofiche a lui tan­to care, contribuiscono con questi saggi a mantenerne viva la lezio­ne, per tanti versi straordinaria.

Gianni Vattimo